Femininum Ingenium. Collana di Studi sul genio femminile. V Volume.

Femininum Ingenium.
Collana di Studi sul genio femminile, Volume V.
Femininum Ingenium.
Collana di Studi sul genio femminile,

Volume V.

Nel V volume della nuova Collana viene riproposto il saggio di Roberta Fidanzia, Dora d’Istria. O privire feminina asupra secolului al XIX-Lea. Risorgiment, pedagogie, politica si conditie feminina, Drengo, Roma 2017, traduzione in lingua romena, a cura della Prof.ssa Viorica BĂLTEANU, del volume Dora d’Istria. Uno sguardo femminile sull’Ottocento. Risorgimento, pedagogia politica, condizione femminile, Aracne, Roma 2013.

Il volume è stato presentato in numerose città italiane presso le associazioni italo-romene e gli istituti di cultura romena in Italia e la Società Dante Alighieri di Firenze, in Romania presso l’Unione degli Scrittori e la sede della Società Dante Alighieri di Timisoara, in Albania e a Bruxelles presso il Parlamento Europeo. Ha vinto il premio letterario nazionale L’Iguana – Anna Maria Ortese con l’Istituto di Studi Filosofici di Napoli e il premio letterario Il Timone.

Prefazione di Viorica BĂLTEANU

Strutturato in sei capitoli preceduti da una introduzione e finalizzati con un allegato dal titolo significativo: Una storia politica di famiglia, il libro Dora d’Istria. Uno sguardo femminile sull’Ottocento porta nel primo piano dell’attenzione, alla stessa stregua, una luminosa personalità poliedrica del Secolo romantico e un’autrice a noi contemporanea, Roberta Fidanzia.

La prefazione dell’edizione princeps italiana è stata conservata quale utile postfazione, essendo troppo bene scritto il testo essenziale e pertinente uscito dalla penna di Teresa Serra.

Il volume continua l’interesse vivido suscitato in Roberta Fidanzia dalla stupefacente principessa romena Elena Ghica, divenuta per matrimonio Koltzova-Massalskaia, ma importante per la cultura universale mediante lo pseudonimo Dora d’Istria. In concreto, il presente studio è stato annunciato da uno di minore ampiezza intitolato La principessa Dora d’Istria: una pedagogia politica per il Risorgimento italiano, sul periodico online Storiadelmondo (N. 69, ottobre-dicembre 2012), e continuerà con un altro libro che, attualmente, è in fase di stesura.

Tale fatto non deve meravigliare. Assai celebre, in vita, Dora d’Istria è entrata in penombra a cominciare dal 1889, tornando, nei decenni recenti, all’attenzione di ricercatori importanti, molti essendo italiani, alcuni romeni, fra i quali spicca Liviu Bordaș. Cosa spiegabile. Dora d’Istria ha adorato la patria dove il Padre dei Cieli aveva deciso che ella venga al mondo, anche se ha sofferto a causa della carente comprensione da parte dei compatrioti, così come ha adorato la patria dove visse la maturità e dove scelse di attendere l’ora della dipartita nell’eternità, momento che la colse nella capitale mondiale delle arti: Firenze, patria di Dante, sommamente ammirato dalla illustre intellettuale. Possiamo trovargliene una colpa, quando l’Italia significa la metà della nostra medesima identità, da Aquileia partendo le legioni romane dirette alla Dacia boschiva, per far nascere, per volontà del Creatore, un popolo nuovo, una lingua romanza nuova ― popolo doppiamente europeo come lo sono anche gl’italiani ― su una terra anticamente chiamata Dacia Felix e, di seguito fino ai giorni nostri, Romania dell’unico popolo avente l’anima lacerata dal dor, con i suoni dell’Urbe Eterna subito percepibili nell’etnonimo e nel nome geografico aventi una musicalità solenne come i millenni di gloriosa storia?

Ho preferito, per la copertina principale, il ritratto fatto da Felice Schiavoni alla fanciulla di soli 20 anni, quando costei fruiva delle lezioni di pittura impartitele nella Citta Lagunare, mentre il fratello minore di lui, il ritrattista Giovanni Schiavoni, aveva insegnato nel Dolce borgo di Iassi, presso l’Accademia Mihaileana. Giammai la gratitudine è soltanto un dettaglio superfluo, come Giambattista Vico ci ricorda con la teoria dei corsi e ricorsi, rielaborata fruttuosamente da Mircea Eliade col suo mito dell’eterno ritorno e analizzata  dal punto di vista filologico da Eugen Coseriu.

Non è stato facile trasporre in lingua romena il libro, nel quale il linguaggio odierno di Roberta Fidanzia e di altri commentatori recenti s’incrocia con lo stile di Dora d’Istria e di altri eruditi intellettuali o creatori di storia dell’Ottocento, il nome di Giuseppe Garibaldi affluendo in mente in modo spontaneo fra quelli di quest’ultimi appena ricordati.

Ho tradotto, certo, dalla lingua italiana, ma pure dal francese, in quanto Roberta Fidanzia ha inserito apposta nella lingua originale alcuni frammenti di lettere indirizzate da Angelo de Gubernatis alla principessa danubiana, che ha steso tutta la propria corrispondenza nella lingua di Racine, così come ha scritto quasi tutti i suoi lavori in francese e italiano, pochissimi in altre lingue.  Precisiamo che l’intento della principessa è stato uno altamente encomiabile: ha desiderato che il publico di tutto il mondo possa recepire con meno ostacoli il frutto del suo pensiero, del suo sentire.  Non si è sbagliata. Il nome suo raggiunse un  fulgore formidabile, in epoca,  attirando verso la Romania, verso le civiltà neolatine e verso la stirpe romena un interesse eccezionale¹, che si verificò poche volte nel lasso di tempo susseguito alla sua dipartita.

Di più. Alla dotta scrittrice bucarestina era ben noto l’amaro detto “Nessuno è profeta nella propria patria“. Come si può vedere, anche nelle pagine che seguono, nemmeno adesso è stata tradotta e pubblicata in Romania l’Opera omnia lasciata alla posterità dalla figlia più grande del colto gran boiaro Mihail Ghica e della sua bellissima moglie Catinca. Invece, saggi, studi della scrittrice sono stati tradotti in altri idiomi, lasciando perfino posto a fabulazioni concernenti l’identità della medesima. Roberta Fidanzia non affronta lo spinoso problema che interessa gli antenati del casato dei Ghica, ma prende in considerazione ciò che dichiara la principessa, sostenendo che la sua stirpe discendesse da un albanese chiamato Gheorghe Ghica, giunto nel Fanar e, poi, assurto al trono della Moldavia e poi della Valacchia, figlio di un Grigore Ghica.

Però, quelli non suonano per niente quali nomi albanesi, come non è di sorgente illirica tutta l’onomastica preferita dai Ghica, in quattro secoli. Comunque la prova più eclatante della latinità dei suoi è lo pseudonimo stesso scelto da Elena Ghica, nome d’arte con limpidi connotati che concernono la Romània, che annovera, adesso, ben 15 entità statali europee. Degli istroromeni, aveva pubblicato, già nel 1847, Gheorghe Asachi sulla rivista Albina românească. Appassionato di storia, il padre della futura illustre scrittrice teneva in casa, certamente, anche quel numero. Nella penisola d’Istria, vivevano italiani e istroromeni, da secoli (nei pressi, in Albania, Macedonia e Grecia, vivevano gli aromeni, i meglenoromeni, senza eccezione divorati dal dor), tutte realtà che collegavano direttamente le due patrie di Elena Ghica. Non solo. Sulla sponda romena del Mar Nero, sta da ben due millenni e mezzo Histria (in romeno, Istria), antico insediamento greco, poi, romano e, in fine, località romena esistente tuttora. Indubbiamente, restano altrettanto attendibili le spiegazioni dello pseudonimo date in questo volume da Roberta Fidanzia, in altri studi da altri ricercatori: il dor e il fiume Istro, antica denominazione del Danubio. Che ricchezza di spunti, davvero degna della sapientissima letterata Elena Ghica!

È chiaro, come hanno dimostrato lo storico Victor Papacostea e altri ricercatori solertissimi, con prove che scacciano qualsiasi sospetto, che il capostipite del casato dei Ghica fosse stato un aromeno di Albania. D’altronde, il cognome è frequente soprattutto presso aromeni e dacoromeni. Ho ripreso la tesi pure io nell’articolo Dora d’Istria. Una pensatrice ricoprendo tre secoli, che vide la luce della stampa sulla rivista timiscioregna Anotimpuri literare (Trim. III, 2017), periodico diretto con talento e bravura dalla scrittrice Nina Ceranu.

Dove si è reso necessario, ho corretto (specificandolo nella nota del traduttore) le innavertenze nei testi di Dora d’Istria o di Roberta Fidanzia, come altri, più industriosi di me, evidenzieranno gli errori della sottoscritta. È naturale così, da che mondo è mondo.

Come si evince ― e pensiamo che i lettori della presente versione possano forse  apprezzare ― le note a piè pagina redatte dalla sottoscritta vengono in aggiunta dell’apparato scientifico dovuto a Roberta Fidanzia e rintracciabile dopo il testo propriamente detto. Senza le note a lato, il libro sarebbe rimasto comprensibile per una cerchia ristretta di conoscitori, opzione che ho eliminato, ritenendola ingiusta e addirittura assurda, sulla soglia dei 19 secoli dalla nascita e dei 130 anni dall’ingresso nell’infinito di Dora d’Istria, colei del tutto degna di non essere dimenticata.

Nata il 22 gennaio 1828, molto credente (era ortodossa convinta), Elena Ghica è stata un’adamantina rappresentante dei soggetti superiori² venuti al mondo sotto il segno del’Acquario. Idealista, generosa fino all’inversosimile, dall’intelligenza brillante e intuito quasi privo di errore, con sete sconfinata di sapere e attratta irrepressibilmente dal mistero, amante della natura ― la montagna rappresentando per lei un axis mundi e axis vitae³ ― e degli esseri umani, delle piante, degli animali, molto empatica nei riguardi dei sofferenti⁴, animata da infuocato attaccamento patriottico, avente doppia meta: la terra natale e la patria che l’aveva adottata con entusiasmo uguale a quello provato da lei medesima, Elena Ghica fu una sfegatata filolatina.

Ha nutrito una forte vocazione dell’amicizia. Non ha potuto perdonare mai il tradimento, proprio in virtù della lealtà che gliene era congenere. È stata una donna che sognava di avere un unico, immenso amore, di essere la donna di un solo uomo, amato con tutto il cuore. Si è sposata pochi giorni dopo aver raggiunto la maggiore età (21 anni, all’epoca), senza tener conto della contrarietà dei suoi, di tutti coloro che gliene volevano bene. Ha sbagliato, senza imputare  nulla a nessuno, da persona integerrima, con la mente ben rifornita: il duca Alexandr Koltzov-Massalski era di antichissimo lignaggio reale, come lei d’altronde. Egli discendeva dal principe scandinavo Rurik, biondo fondatore dello Stato Russo. La sua prestanza fisica non aveva corrispondenza in altri campi. Così, la giovanissima geniale, dalla robusta vocazione artistica ― Elena scriveva magneticamente, dipingeva in mirabile modo, cantava con celestiale voce educata dai maestri del belcanto di Milano ― purchè innamorata fin sopra i capelli, capì presto che le incongruenze erano fatali: privo di delicatezza e di cultura lui, che era stato destinato fin dall’età di 15 anni alla carriera militare; una “enciclopedia vivente” la romena, come aveva decretato con felice esattezza Bartolomeo Cecchetti⁵, che sapeva molto bene ciò che affermava.

Allevata nella tradizione romena di ottima familista, Elena dalla chioma castana e dagli occhi color come il mare infinito non divorzierà, il destino liberandola da una realtà traumatica: il marito morendo poco dopo la partenza definitiva da Pietroburgo di lei e del loro figlioletto. Con l’assenso del marito e con un pretesto plausibile.

Ma non si risposerà, nonostante fosse di una beltà non comune e possedendo ricchezze ingenti. Con la cerebralità cristallina degli acquari (seppur ella  fosse dispenditrice di lacrime, non di acqua), decise di ottenere la gloria, poichè il bene sconfinato per il suo bimbo gli sarà tolto dalla malasorte, il piccolino spegnendosi a Bruxelles, dove  si erano stabiliti, dopo aver lasciato senza rimorsi la Russia del tirannico zar Nicola I e dopo che la duramente provata principessa valacca aveva tentato di esorcizzare le tribolazioni di un matrimonio infelice, facendo alpinismo agonistico nel Paese dei Cantoni, confermando che non aveva preso indarno lezioni di nuoto, tiro a segno, equitazione e scherma, nella sua felice adolescenza.

E, dato che sono nient’altro che una somma  di slanci, anche contradittori, gli acquari raffinati hanno delle qualità squisite ― i loro difetti derivando dall’esacerbazione delle virtù stesse ― l’ortodossa ferrea chiederà che il suo corpo esanime sia cremato, cosa puntualmente compiuta, nel mese di brumaio 1888. Aveva vinto l’amore per l’incrocio di enigmi chiamato India, dove assai aveva bramato andare, ma, altra bizzarria dettata dalle stelle, aveva declinato l’invito insistente del conte Angelo de Gubernatis⁶, invocando un prestesto per certi versi infantile, però straripante di finezza d’animo. In realtà, non poteva sottrarsi al dovere: alcune riviste internazionali e case editrici attendevano con spiegabile impazienza i suoi manoscritti. Ma in tale scelta s’indovinano pure la Grecia del nonno materno e l’antica italica terra di origine.

Affascinante essere umano, concludiamo con  persuasione!

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1.  Tra i meriti di Dora d’Istria bisogna includere anche la divulgazione, nell’Occidente, di qualche intellettuale romeno di spicco del Secolo romantico. Da tener conto: Ion Heliade-Rădulescu (innamoratissimo della lingua italiana) e George Crețeanu (francofono e stimatore della cultura italiana) erano valacchi, mentre Gheorghe Șincai era transilvano, con studi affinati a Roma. La principessa aveva esortato Angelo de Gubernatis di andare a conoscere i romeni, l’opera di Mihai Eminescu.

2. Ciascun segno zodiacale ha soggetti superiori e inferiori. I primi vivono in consonanza coll’ethos cristiano, prendendo prevalentemente le qualità del segno. Di recente, scoperte degli astrofisici dimostrano che abbiamo nel gene polvere stellare, per volontà del Creatore.

3. Asso del mondo e asso della vita (lat.).

4. Forse il più suadente fu il contenuto del testamento di 150 pagine, per cui l’illustre letterata lasciò in dono i possedimenti suoi in Patria al Comune bucarestino, per finanziare l’ospedale Pantelimon, fondato dalla famiglia Ghica; mentre le proprietà in Italia furono lasciate al Comune fiorentino, per finanziare l’Istituto per Sordomuti. Le opere d’arte e i libri rari li ha donato alla Pinacoteca municipale e alla Biblioteca Nazionale di Firenze. Poche cose ai familiari e alla fedele servitù.

5.  Bartolomeo Cecchetti (1835-1889) è stato un importante storico e archivista veneziano. Filoromeno.

6. L’importante orientalista e scrittore Angelo de Gubernatis e sua moglie furono ottimi amici di Dora d’Istria. Notizie sostanziose sul grande filoromeno piemontese e sulla circostanza qui ricordata ho inserito nel volume.