In questo volume viene riproposta la monografia di Rosita Casa, Affinché l’anima diventi cielo. L’orazione secondo Caterina da Siena, Drengo, Roma 2015.
Prefazione.
Padre Règinald Garrigou Lagrange, professore di teologia spirituale presso il collegio “Angelicum” nei primi decenni del Ventesimo secolo, riflettendo sul pensiero e la teologia cateriniana dell’orazione scriveva:
«Attraverso …. l’esistenza umana, l’uomo diventa un “viaggiatore verso l’eternità”. Tutti noi siamo chiamati da Dio ad andare alla Sua ricerca, verso di Lui, attraverso la lode e l’adorazione che dobbiamo avere nei Suoi confronti, ma siamo chiamati ad essere dei pellegrini che ricevono l’obbligo di camminare quaggiù nei sentieri della Carità, per giungere lassù dove, Dio Padre, ci attende. Siamo tutti in viaggio per l’eternità, attraverso un percorso “personalizzato” secondo le intenzioni divine, con delle modalità diverse per ciascuno di noi; ma un viaggio con una meta unica e comune a tutti: la beatitudine eterna, con la quale potremo insieme contemplare la Gloria di Dio»[1].
Ritrovarsi nella sua dimensione autentica, quella della relazione con Dio, è il bisogno essenziale quanto inconsapevole dell’uomo del nostro tempo. Un bisogno che non può trovare soddisfacimento se non nell’impegno, perseverante e coerente, di una comunicazione qualificata con l’Altro, che proprio nell’orazione ha il suo canale privilegiato.
L’orazione – che è sempre risposta dell’uomo ad un invito di Dio, Colui che per primo ci ha amato – ci insegnano i Santi, è il mezzo necessario per elevarsi dalla bassezza delle cose sensibili all’altezza dei beni spirituali, nella gradualità di un percorso perfettivo che ha, nell’affrancamento dal peccato e nel ripudio del vizio, il suo momento di culmine.
Già dal titolo, Affinché l’anima diventi cielo. L’orazione secondo S. Caterina da Siena, questa consapevolezza si attesta quale filo conduttore della presente opera con la quale, l’Autrice, ripercorrendo i sentieri della dottrina spirituale della Santa senese, non solo mette nella disponibilità dello studioso quasi un manuale su un tema – quello dell’orazione – tutt’oggi scarsamente preso in considerazione nell’ambito degli studi cateriniani; ma offre al semplice “uomo della strada” una parola sicura, quale quella di Caterina da Siena, a cui affidarsi e in cui poter trovare consiglio e conforto lungo il cammino impegnativo verso l’incontro con la «prima dolce Verità».
Con un’osservazione più che appropriata l’Autrice, nell’incipit del par. 2.2, allora così scrive: «L’orazione è per Caterina il mezzo di cui l’uomo dispone per istituire un contatto con Dio e per stringere con Lui rapporti sempre più stretti; ma è anche la strada da percorrere per “unirsi al sommo Bene”. Ma in che modo questa unione può concretizzarsi? Come bisogna camminare su questa strada?».
Seppur non nel contesto di un’esposizione tematicamente omogenea e unitaria, la Santa individua, con chiarezza semplice ma profonda, le condizioni di possibilità chiamate in causa dai due quesiti e identifica il “modo” e il “mezzo”, rispettivamente con il “tempo” di una «orazione umile e fedele» e con l’“affetto” del «continuato santo desiderio». Al contempo non trascura di portare l’attenzione su una questione per così dire preparatoria di questi due momenti, che è quella riguardante l’idoneità del “luogo della preghiera”, cioè delle caratteristiche che devono contraddistinguere l’ambiente spirituale, e non solo fisico, affinché possa realizzarsi la conoscenza e l’incontro con il Signore Gesù. Si tratta di un percorso di ricerca introspettiva e di crescita “virtuosa” che impegna l’orante: da una parte, nella costruzione di una “cella interiore” – che è poi la stessa anima – all’interno della quale egli vive l’esperienza del «cognoscimento di sé», cioè della conoscenza sapienziale di sé mediante il dono della fede alla luce della verità di Dio; dall’altra a coltivare quella «santa discrezione»che è per Caterina la virtù che spinge l’anima a riconoscersi ingrata e negligente al cospetto di Dio e, in ragione di ciò a umiliarsi, con odio e dolore per le proprie colpe, nel desiderio di restituirGli l’onore rubato (Dialogo, IX).
Eccoci allora al tema focale della dottrina spirituale cateriniana, quel “desiderio” di cui si nutre ogni pagina della vita e degli scritti della Santa senese, e che costituisce il passaggio obbligato per comprendere la natura e l’essenza della preghiera.
Nell’uso corrente della lingua italiana l’accezione del vocabolo “desiderio” viene ricondotta alle capacità di orientare le energie interiori: «pulsione, proposito, scopo, tendenza, spinta, bramosia, orientamento dell’attività che un qualche meccanismo del corpo tende a realizzare»[2]. In altri casi è designato secondo il significato di sentimento o attesa che i bisogni trovino soddisfazione: «sentimento di ricerca appassionata o attesa del possesso, del conseguimento dell’attuazione di quanto è sentito confacente alle proprie esigenze o ai propri gusti»[3].
A queste definizioni che collocano il “desiderio” nella sfera dello strettamente privato e personale, in cui pur rientra in una certa misura il discorso intorno alla relazione uomo-Dio, Caterina risponde con la novità di una speculazione che pone l’accento su due aspetti, formalmente agli antipodi ma sostanzialmente contigui, che sono: la sorgente del “desiderio” e la tensione di vertice che lo muove.
La sintesi eloquente e di compendio di tale prospettiva, la troviamo nelle Orazioni dove, rivolgendosi a Cristo, in uno slancio di amore e riconoscenza, Caterina osserva: «traesti me di te»[4]. Si tratta di una riflessione di grande profondità, poiché l’uomo, in quanto “tratto” da Dio, è definito parte del suo stesso corpo, e che la Santa esplica ulteriormente attraverso le immagini allegoriche dell’uomo che appartiene a Dio come il ramo all’albero, le membra al corpo, il feto alla madre. Questo «innesto in Dio» – come amava scrivere Dalmazio Mongillo – diventa allora la chiave ermeneutica del “desiderio” cateriniano, che si viene a delineare come bisogno dell’uomo di ritornare a ciò che era, per innestarsi nella sua vera sorgente.
Ma il “desiderio” non rimane per Caterina confinato nei limiti concettuali di questa definizione, poiché identifica altresì la condizione che permette all’uomo di percorrere il cammino di ritorno a Dio attraverso “la via del Verbo”. Esso scaturisce dall’innamoramento che ne muove la tensione verso di Lui, diventando così la spinta propulsiva da cui consegue il progresso nella preghiera e di cui si alimenta la «orazione continua».
Ponendosi in questa linea l’Autrice allora giustamente arriva ad affermare che: «Non c’è dubbio … che il desiderio costituisca l’architettura concettuale che regge l’intera dottrina dell’orazione cateriniana, per cui correttamente si può affermare che per Caterina la vera preghiera è “preghiera di desiderio” e l’orante perfetto “persona di desiderio”»[5].
A conferma di ciò, il fatto che la Santa, “sconvolgendo” l’ordine di classificazione tradizionale delle tipologie di preghiera, non mette al primo posto l’“orazione vocale”, ma quella che lei chiama l’«orazione continua» o il «continuato santo desiderio». Una preghiera impegnativa e proficua, ma ciò nonostante alla portata di tutti, in quanto può accompagnarsi a qualsiasi attività ed è capace di indirizzare ogni agire, verso se stessi e il prossimo, per amore di Dio. È il «santo desiderio» che delinea il conformarsi dell’anima alla volontà salvifica di Dio e che trasforma in preghiera ogni opera caritativa. Ed è con questa luce ulteriore che nasce il desiderio della gloria di Dio e della salvezza delle anime. Aumentano la sete e la fame di Dio. La preghiera diventa facile e “gustosa” e anche nell’apostolato si prova una grande facilità di azione nel servire Dio, nell’insegnare, nel dirigere e organizzare opere.
Per Caterina questo significa amare Dio, non solo con tutto il cuore che cerca consolazioni sensibili ma anche con tutta l’anima, con tutta l’attività, ma non con tutte le forze e né con tutto lo spirito perché manca nell’anima uno stadio superiore. Ecco perché l’anima ha bisogno di essere purificata dell’orgoglio spirituale o intellettuale che si confonde con facilità nella preghiera e nell’azione.
Questo studio accompagna il lettore nella comprensione del dinamismo affettivo che governa l’orazione, sotto la guida di una Grande Maestra della spiritualità cattolica. S. Caterina da Siena ci aiuta a scoprire il dinamismo dell’amore per Dio attraverso il santo desiderio, e l’amore per il prossimo attraverso l’esercizio della carità, che inevitabilmente ci chiede l’allontanamento dal peccato. Amare, vivere “per e con” l’amore dona alla vita uno slancio nuovo, la colloca in una dimensione diversa e migliore da quando si vive senza amore. S. Tommaso d’Aquino, il grande teologo, considera la carità principalmente come amicizia con Dio, un canale di comunicazione che Dio apre perché io possa rivolgermi a Lui: la carità mi dice che posso vivere in rapporto di amicizia con Dio. Quindi possiamo dire che la carità teologica è una virtù infusa da Dio, per la quale Lo amiamo, amiamo noi stessi e amiamo il prossimo.
Il volume, scritto bene e con profondità argomentativa, riesce a rendere con chiarezza una materia di per sé complessa. Semplice ma denso, è come un’iniziazione a qualcosa di più grande, di immensamente più grande: la “metodologia” cateriniana dell’orazione conduce al culmine della vita cristiana, laddove il cristiano vive una mistica cristica e di conseguenza trinitaria, secondo la struttura ontologica del suo essere fatto a immagine e somiglianza del Figlio e quindi della Trinità.
P. Ciro Bova,
O.P.
[1] Lagrange R.G., Le tre età della vita interiore, pp. 33-34.
[2] Hinsie E.L., Campbell R.J., Voce «Desiderio», in Dizionario di Psichiatria, Roma 1979.
[3] Devoto G., Oli G.L., Voce «Desiderio», in Vocabolario della Lingua Italiana, Milano 1979.
[4] Caterina da Siena, Le Orazioni, Roma 1978. Cit. Or. I, La missione del Verbo, 69.
[5] Par. 2.2.1.