Secolarizzazione e Confini della politica

Il pensiero economico ha contribuito all’evoluzione della scienza politica per quel che gli è proprio: la distribuzione e l’allocazione delle risorse di una comunità organizzata in maniera più o meno complessa. Economia, diritto e politica costituiscono un trinomio inscindibile, la cui armonia e reciproca integrazione rappresentano lo strumento fondamentale di amministrazione della vita di una comunità. L’annullamento delle distanze geografiche e la nascita di quel villaggio globale teorizzato da Marshall McLuhan negli anni ‘60 del secolo scorso hanno rappresentato la nuova, grande scommessa per le scienze economiche di fornire una valida risposta agli interrogativi venutisi a creare tra la fine del secondo millennio e l’inizio del terzo, sulla sostenibilità di modelli economici e, più ampiamente, di modelli culturali e politici che superano quelli propri delle tradizionali ideologie di Ottocento e Novecento.

Interrogativi che riguardano anche la concezione della società contemporanea che, privata di un ordine fondativo razionale, vaga nell’indefinitezza dell’autoreferenzialità. L’uomo, in questa società, non cerca il bene sociale, ma anela il piacere, unico fine umano, ed ha come strumento l’interesse individuale e non l’utilità comunitaria.  Il paradigma della società contemporanea, dopo che i vecchi paradigmi del marxismo e del liberalismo sono caduti, è come scrive anche Benedetto XVI, “il relativismo diffuso, secondo il quale tutto si equivale e non esiste alcuna verità, né alcun punto di riferimento assoluto [che] non genera la vera libertà, ma instabilità, smarrimento, conformismo alle mode del momento”.

Ricordando che il ruolo della politica, nel suo vero senso del termine, è quello di riscoprire il senso della polis, ovvero della comunità, costruendone l’ordinamento che dev’essere volto al bene comune, necessariamente comprensivo del bene individuale, personale, di ogni soggetto che costituisce la comunità stessa, diventa chiaro che la sfida attuale, dunque, è quella di misurarsi con il mutamento della società occidentale, con gli esiti di questa deriva utilitaristica: l’abolizione dell’uomo, la sua spersonalizzazione a mero funzionario di una grande macchina, di un gigantesco ingranaggio, esiti che testi come quelli L’operaio di Ernst Junger e l’Ulisse di James Joyce, o pellicole come Tempi moderni di Charlie Chaplin hanno intuito ed evidenziato da tempo.
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